CAP.17(questo è il regalo di bentornato per Oscar
)Quella notte la stanza d’albergo sembrò cambiare forma in continuazione; era abbastanza spaziosa, con un letto matrimoniale, un armadio, un tavolino con due sedie e un’ampia finestra che dava sul molo. Ma per alcune ore ogni cosa si svolse sopra un letto, piacevolmente limitato, che aveva ridimensionato completamente la camera, facendola diventare piccola ed intima. Gli unici rumori che si potevano sentire erano le lenzuola che si muovevano e i profondi respiri dei due amanti completamente persi tra le loro braccia.
In lontananza si sentì una campanella richiamare l’attenzione dei clienti dell’albergo, cosa che attirò lo sguardo di Serguei verso l’orologio appeso alla parete della loro camera; segnava le otto in punto, era l’ora in cui veniva servita la colazione. Ma Serguei e Lotjuska avevano ben altro da fare in quel momento; si rannicchiarono ancora di più sotto le coperte e continuarono ad abbracciarsi e baciarsi come avevano fatto per tutta la notte. Sembrava passato così tanto tempo da quando si erano potuti sdraiare l’uno accanto all’altra senza alcuna fretta e ignorando completamente cosa fosse l’ansia. Per quanto continuassero a coccolarsi, non ne avevano mai abbastanza.
Serguei sentiva così tanto il bisogno di recuperare decenni di mancato affetto e l’amore che Lotjuska gli dava, senza secondi fini ne riserve, sembrava ancora inverosimile per lui; non poteva fermarsi proprio ora. Una notte non bastava per averla, voleva posticipare l’alba all’infinito perché niente e nessuno potesse interromperli.
Dal canto suo, Lotjuska non era ancora abbastanza stanca e non permetteva a Serguei di allontanarsi da lei nemmeno per un istante; non si concedeva nemmeno il tempo per respirare e non conosceva pause in quegli interminabili momenti di passione. Senza il timore che qualcuno potesse di nuovo separarli, viveva ogni istante dimenticando tutto ciò che avevano dovuto passare per arrivare fin lì. La fabbrica crollata, la lontananza, la casa di riposo … erano tutti ricordi che sbiadivano ogni volta che le loro mani si sfioravano prima di stringersi in un abbraccio.
Verso l’ora di pranzo una forte pioggia incominciò a battere sul tetto, provocando un rumore impossibile da ignorare; normalmente la pioggia aveva effetti rilassanti su Serguei e Lotjuska, e in tutta onestà, entrambi ammettevano che era più bello concedersi a delle intimità tra loro quando pioveva. Era una colonna sonora che rendeva tutto più intenso. Ma quella pioggia, insieme al forte vento, era veramente caotica.
Serguei si sollevò a sedere, con la schiena appoggiata alla testata in legno del letto, e si stiracchiò tutti i muscoli; alla sua età passare tutta la notte e tutta la mattina immerso in un appassionante scambio di abbracci, uno più forte ed impetuoso dell’altro, metteva a dura prova il suo corpo, indebolito dal passare del tempo e fuori allentamento. Non credeva che amare potesse risultare addirittura più faticoso del lavoro in miniera; gli sembrava di aver lavorato per ore, invece ripensandoci, tutto quello che aveva fatto era stato stringere a se il corpicino esile e leggero della sua amata. Eppure era una fatica che lo rendeva felice.
“questa finirà nella lista delle mie nottate preferite” sospirò Serguei, lasciandosi incantare dal modo innocente in cui Lotjuska si era soffermata a guardarlo. Incredibile come il suo aspetto era capace di cambiare in così poco tempo; un attimo prima era un’ondata inarrestabile di passione, poi diventava dolce e placida. Serguei non sapeva decidere quale preferisse tra le due, e si domandava quali altre sfumature avrebbe scoperto se le fosse rimasto sempre accanto.
“quali sono state le altre?” domandò Lotjuska prendendo il suo specchietto tascabile dal cassetto accanto al letto ed iniziando a mettersi l’eyeliner.
“… la prima volta che abbiamo dormito assieme”
“ma quella volta eravamo ancora degli estranei, quasi”
“eri già l’amore della mia vita” Serguei l’abbracciò, con la massima cautela per non muoverla mentre si truccava.
“in effetti anche tu all’epoca cominciavi a piacermi, ma sai, non è così semplice affezionarsi. Con te valeva la pena di provare … ehi, che dici, uso il Tramp?” cambiò improvvisamente discorso, prendendo in mano il rossetto e mostrandolo a Serguei.
“qual è? Quello che piace a me?”
“l’ultima volta che l’ho messo hai detto che ti piaceva”
“quale hai messo l’ultima volta?”
“l’ultima volta ho messo il nero, ma io intendevo la volta prima”
“ehm …”
Dopo un attimo di silenzio, entrambi si resero conto della direzione ridicola che stava prendendo la discussione e Lotjuska ridendo si lasciò cadere su Serguei, il quale approfittò per stringerla forte al petto. Quando rideva era impossibile non guardarla; se rideva di lui, per assurdo, diventava ancora più bella.
“mettiti quello che vuoi, stai bene comunque”
Lotjuska si rialzò e tornò a guardarsi nello specchietto.
“altre notti? … qualcosa che non c’entri con noi, magari. Ci sono stati altri momenti degni di essere ricordati?”
"hmm, ce n'è una che mi piace ricordare:
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Komkolzgrad, 17 Febbraio 1968Dal treno fermatosi quella tarda sera era scesa una persona che Serguei ormai credeva di non rivedere più, anche se sapeva che prima o poi sarebbe tornato.
Boris fece il suo ingresso a Komkolzgrad con lo stesso effetto che scatenò quel giorno in cui partì. Tutti andarono ad accoglierlo e salutarlo, e solo dopo che se ne erano tutti tornati per i fatti loro Serguei riuscì ad avere l’occasione di riabbracciarlo.
Era così felice di rivederlo, ma quasi non lo riconosceva più. Il periodo che aveva passato come pilota nell’esercito lo aveva cambiato, non sapeva dire se in meglio o in peggio, ma almeno l’apparenza era quella di un uomo felice di essere tornato al punto di partenza, dove la sua storia ebbe inizio.
Boris era stato assegnato al cosmodromo, quindi Serguei non avrebbe avuto molte occasioni di vederlo, ma era determinato a creare delle situazioni ideali per passare del tempo assieme. In fondo non erano sempre al lavoro, nel tempo libero sarebbe stato semplice invitarsi a vicenda per bere una Vodka; lo fanno i minatori tra di loro, che problema c’era ad invitare quelli del cosmodromo? Eppure, sapere che non avrebbero più lavorato insieme lo faceva sentire così lontano. Ma intanto quella sera avrebbero festeggiato il suo ritorno stappando una bottiglia di Vodka ucraina … non era esattamente come la Vodka russa, ma non era niente male. Boris raccontò delle sue avventure nell’ovest della Russia, in Polonia e infine in Ucraina. Aveva viaggiato molto e Serguei un po’ lo invidiava; aveva visto così tante cose. Così inesperto da considerare Komkolzgrad come il mondo intero, per un attimo si sentì un novellino rispetto a lui. Ma poi Boris gli diede una pacca sulla spalla e gli disse:
“vedo che sei diventato un esperto qui! Dimitri mi ha parlato bene di te”
“beh, si fa quel che si può” rispose Serguei timidamente. Ce la stava mettendo tutta in miniera, ma non voleva sbilanciarsi troppo presto.
“punti a diventare direttore! È qualcosa in più del semplice ‘
si fa quel che si può’”
Dopo altri due bicchierini lui riprese a parlare.
“allora, quand’è che ti sistemi?” gli domandò dandogli un’altra pacca sulla spalla, ancora più forte della prima.
“sistemarmi? Non ci ho ancora pensato. Prima dovrei vedere come si evolve la situazione qui”
Boris scosse la testa, guardandolo con finta esasperazione; Serguei ancora non riusciva a capire se fosse serio oppure se lo stesse prendendo in giro.
“se aspetti a vedere come vanno le cose qui andrà a finire che diventerai vecchio senza mai avere avuto una donna al tuo fianco” bevve un altro bicchiere e poi si mise a ridere “e poi cosa c’è da vedere? Il 1968 è praticamente appena iniziato e la miniera sta andando alla grande. Mi è capitato di visitarne altre durante i miei voli più vicino al confine e molte di esse non funzionavano bene come questa. Qui non manca nulla”
Serguei lo guardò perplesso; le fabbriche non dovrebbero essere tutte uguali?
“cos’abbiamo che gli altri non hanno?”
“roba da scavare? Qualche miniera si sta già esaurendo. Voi minatori scavate troppo velocemente … e poi da adesso ci sarò io con voi!”
Serguei scoppiò a ridere “e tu sei quel qualcosa di indispensabile che a tutte le altre miniere manca?!”
“beh, farò in modo di rimediare qualche bottiglia in più!”
“la Vodka non basta mai, soprattutto quando i minatori la sera vogliono distrarsi dopo tutto quel lavoro la sotto”
“Serguei, già vedo come andrà a finire: tu diventerai direttore, ti sposerai e ti farai una bella vita qui, nella zona residenziale. Gli alloggi non sono niente male … intendo quelli veri, non quelle
stanze che danno temporaneamente ai minatori”
Serguei gli diede una spinta.
“ora sei davvero ubriaco. Le donne che passano di qui sono pochissime!”
“eh, lo so che nella vecchia Stalingrad ne passano molte di più, ma ce ne sarà stata qualcuna che si è fermata qui”
Dopo averci pensato per un istante, Serguei alzò le spalle con incertezza.
“ero troppo impegnato a scavare per guardarmi intorno”
“eppure Christine mi sembra una bella ragazza”
“chi?”
“Christine! La bionda! È persino venuta a salutarmi un attimo prima che tu mi raggiungessi. Impossibile che tu non l’abbia notata”
Serguei scosse la testa sillabando un NIET categorico e Boris ricominciò a ridere.
“ah Borodine, morirai solo …”
Quelle parole per un attimo contrastarono gli effetti della Vodka su Serguei; sentì un vuoto immenso dentro di se. Non voleva morire solo.
Poi la Vodka prese il sopravvento e si unì a Boris, chiacchierando fino a notte fonda.
Fuori nevicava ed era buio. Era una di quelle notti in cui si vuole ridere con qualcuno, non pensare a morire soli. Quando nevica non bisogna pensare di essere soli.
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“e invece? Quante volte ha nevicato e tu eri da solo?”
Serguei abbassò lo sguardo, limitandosi ad accarezzare la spalla di Lotjuska con due dita leggere, quasi incerte.
“troppe … ma almeno adesso, posso godermi la neve e qualsiasi altra cosa insieme a te”
Lotjuska fu felice che Serguei le avesse raccontato quel frammento così importante per lui, ma non se l’aspettava; in realtà, credeva che le avrebbe parlato di altro.
“e … come te la ricordi, Helena Romanski?”
Serguei sorrise e chiuse gli occhi posando la testa sulla spalla di lei.
“la mia passione per lei ha occupato un periodo di tempo immenso della mia vita. Inutile dire che porterò sempre un bel ricordo con me”
“capisco” la voce di Lotjuska tradiva una lieve delusione; nulla di eccessivo, ma a Serguei non sfuggì.
“ma in poco tempo tu hai saputo farmi sentire come lei non ha mai fatto in tutti questi anni. Mi hai fatto provare cose che non avevo mai provato veramente per lei, ne per nessun’altra. Quindi, Helena è stata una musa per me, mi ha ispirato per decenni … ma tu mi hai fatto conoscere cosa significa sentirsi veramente vivi, in ogni senso”
Le baciò i capelli, rassicurandola; sapeva che Helena la ingelosiva, era inevitabile conoscendo tutto quello che lui in passato aveva fatto per lei, e trovarsi nello stesso albergo dove alloggia lei la metteva a disagio. Lotjuska cacciò via tutte le sue perplessità e si lasciò scivolare sui cuscini tutti accatastati disordinatamente e si accoccolò vicino a Serguei.
Restarono un po’ in silenzio, con gli occhi chiusi, ascoltando la violenta pioggia battere sul tetto, il vento e i tuoni in lontananza, poi a quei rumori si unì anche lo stomaco di Serguei che reclamava qualcosa da mangiare.
“si, si … ho capito” risposa Lotjuska dando due colpetti sulla pancia di Serguei “ora andiamo di sotto a pranzare”.
Mauro aveva raggiunto l’autonoleggio al quale si era rivolta Lotjuska, ma non gli seppero dire molto di dove erano andati dopo aver restituito la macchina; in fondo, cosa poteva importare loro? Mauro avrebbe dovuto arrangiarsi con il suo istinto. Entrò in un’edicola – la stessa in cui andò Lotjuska – e domandò se c’erano alberghi nella zona, o altri posti dove fermarsi. L’unico posto dove era possibili dormire era un vecchio albergo, ma al momento era chiuso per manutenzione; difficilmente Lotjuska si sarebbe adattata a dormire su una panchina, detestava stare all’aperto troppo a lungo, e non avrebbe nemmeno permesso che Serguei dormisse fuori, al freddo. Quindi dovevano per forza aver lasciato quel posto, molto probabilmente prendendo il treno, dirigendosi verso una destinazione in cui Lotjuska sarebbe stata in grado di orientarsi. Prese un taxi e raggiunse la stazione, ma una volta arrivato si sentì perso: c’erano decine di treni con altrettante destinazioni diverse. Mauro pensò che Lotjuska avrebbe scelto luoghi che lei conosceva, come l’Italia o la Germania. Prese in considerazione anche la Romania, dato che negli ultimi anni ci era andata parecchie volte con lo zio Fred e più di una volta vi si era fermata piuttosto a lungo. Non aveva mai capito cosa ci trovasse di tanto speciale in quel posto, anche se non aveva mai visto la casa di Fred, non si aspettava che fosse particolarmente bella.
Purtroppo almeno otto treni raggiungevano città di quelle nazioni e difficilmente sarebbe riuscito a prendere il treno giusto semplicemente scegliendo a caso.
Andò alla biglietteria.
“buongiorno, posso chiederle un’informazione?” si approcciò gentilmente, sperando che la sua domanda non venisse considerata troppo riservata.
“dica pure”
“vorrei sapere se di recente sono passate di cui due persone; una ragazza sui vent’anni con i capelli neri, non molto alta e quasi sicuramente vestita di nero, e un signore anziano, un po’ grassoccio, probabilmente con una giacca rosso scuro e, forse, con indosso una di quelle maschere che si davano un tempo nelle fabbriche”
La donna dall’altro lato del bancone ci pensò un po’.
“hmm, si, mi sembra di ricordarli. Sono venuti due sere fa e hanno preso due biglietti per Innsbruck”
“Innsbruck? Davvero?” Mauro non si aspettava quella città. Perché Lotjuska sarebbe dovuta andare in Austria? La conosceva così bene?!
“ora controllo” digitò frettolosamente dei dati al computer, convita di trovare la conferma di ciò che aveva detto, ma poco dopo si dovette ricredere.
“aspetti … no … ho venduto loro due biglietti per Innsbruck, ma sono stati timbrati dal controllore del treno diretto per Aralbad”
“è possibile che ci sia un errore?”
“hanno senz’altro sbagliato treno, e il controllore si è limitato a timbrare senza guardare il biglietto che avevano. Forse è stata colpa della fretta o della confusione … non era mai successo. Ma adesso con tutta probabilità sono finiti ad Aralbad … dalla parte opposta rispetto a dove dovevano andare” la donna era rimasta sconcertata da quella scoperta e si sentiva un po’ in pena per i due viaggiatori che, scendendo dal treno, si erano ritrovati da tutt’altra parte.
“la ringrazio” Mauro tirò fuori il portafoglio “potrei avere un biglietto per Aralbad?”
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Amburgo, 12 Settembre 2006
Lotjuska era appena entrata nella nuova scuola e già si sentiva persa. Non ricordava molto del tedesco che aveva imparato da piccola, la prima volta che era stata in Germania. Ma non voleva continuare le scuole superiori in quel paesetto italiano dimenticato da tutti dove i suoi si erano trasferiti. Sembrava essere stato un colpo di testa di suo zio Fridrih, che all’improvviso propose di andare in Italia, quando lei aveva appena otto anni, forse nemmeno compiuti, e i suoi genitori lo seguirono senza fare storie. In realtà sapeva ben poco di cosa aveva portato a quell’improvviso trasferimento, era ancora troppo piccola perché lo potesse comprendere. Ma si era sempre chiesta perché fossero andati a comprarsi una casa in un posto sconosciuto ed antiquato quando c’erano città come Milano, Torino o Venezia dove potersi trasferire e stare meglio. Che fine avevano fatto i loro sogni per la loro unica figlia? Non erano loro che volevano che frequentasse una scuola d’arte per affinare la sua passione per il disegno? Perché allora mollare tutto e piazzarla in una scuola professionale per poi finire a lavorare dietro ad un bancone di un negozietto schiacciato da aziende mille volte più grandi di lei? Pazienza per i colpi di testa di Fridrih, perché tanto lui aveva già una casa in Romania, e lei l’aveva vista … era molto più bella dell’appartamentino che aveva affittato; ma proprio non capiva i suoi. E non capiva nemmeno perché dovesse esibire una carta d’identità diversa dalla sua, quella russa. Che problemi c’erano? Perché averne due, una delle quali considerava totalmente fasulla? Non c’era nemmeno il suo nome sopra quella carta. Solo molto più tardi Lotjuska scoprì che sua madre aveva avuto una lite furiosa con un giudice, quando ancora era in Russia, e a quanto pare le cause della lite erano talmente gravi che il giudice la minacciò di toglierle la figlia. Così sua madre fu costretta a scappare in Germania … poi per qualche motivo arrivarono in Italia e Lotjuska non fu più Lotjuska, ma una presunta ragazza italiana che si spacciava per tale.
Non sopportando più di fingere, decise di proseguire gli studi in Germania, a costo di esporsi con il suo vero nome.
Si stava guardando intorno, sperando che un professore la notasse e la aiutasse a trovare la sua classe. Per lei era tutto talmente nuovo che a momenti non riusciva nemmeno a distinguere gli studenti dagli insegnati, tanto era agitata.
“ti sei persa?” sentì una voce dietro di se. Lotjuska si girò di scatto e si trovò di fronte ad un ragazzo, forse uno studente. Non molto alto, grassoccio, con i capelli rasati a zero, gli occhi chiari e un pesante raccoglitore ad anelli sottobraccio.
“sto cercando il punto di ritrovo per le seconde”
“dovrebbe essere nella palestra”
“grazie … di che classe sei?”
“non studio qui. Sto solo aiutando mio padre con i registri. È il vicepreside”
“capisco. Mi chiamo Lotjuska” aveva dimenticato quanto fosse bello potersi presentare con il proprio nome.
“Edvard, piacere”
Si lasciarono con un saluto veloce, al suono della campanella, e Lotjuska corse verso la palestra arrivando giusto in tempo, prima che il preside iniziasse il suo discorso di benvenuto.
Per lei fu un bel salto passare da una scuola professionale dove le insegnavano a vendere cose ad un istituto tecnico. Ancora non sapeva cosa se ne sarebbe fatta di una maturità conseguita lì; sognava di fare l’artista, ma la realtà di quel paesetto dove era cresciuta negli ultimi anni l’aveva un po’ scossa. Decise che era meglio prima imparare a fare qualcosa che le avrebbe garantito più facilmente un lavoro, anche se nel frattempo si era già iscritta ad un corso serale di disegno CAD. Chissà se sarebbe riuscita a sopravvivere a tutti quegli studi, più il lavoretto al ristorante nelle sere dei finesettimana.
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Quel piovoso pomeriggio ad Aralbad trascorreva lento e placido; dopo mangiato Serguei volle tornare in camera per schiacciare un pisolino e Lotjuska andò in perlustrazione dell’albergo. Quelle terme sembravano davvero invitanti, peccato che non aveva con se il costume. La temperatura in quella grande stanza piena di piscine era gradevole, sebbene piuttosto umida; si sarebbe rilassata volentieri con un bel bagno caldo, e le sarebbe piaciuto ancora di più se ci fosse stato Serguei in sua compagnia. Anzi, probabilmente gli avrebbe fatto bene, dopo tutti i traumi che aveva subito, un lungo bagno caldo e salutare. Magari il vapore avrebbe dato un po’ di sollievo ai suoi polmoni pieni dei fumi della fabbrica. Chissà, magari una volta sistemate tutte quelle questioni ancora in sospeso – suo padre, il suo lavoro, la sua casa, e come inserire Serguei in tutto questo senza stressarlo ulteriormente -, sarebbero potuti tornare, questa volta per poter trascorrere una vera vacanza.
Già si pregustava la sua prossima vacanza; prendere il treno, il più lento che c’era, e godersi ogni istante del viaggio con Serguei accanto. Arrivare ad Aralbad, scaricare quei pochi bagagli che si sarebbero portati e salire in camera, sistemare le loro cose senza fretta, e poi scendere alle terme per starci per ore, in qualunque momento della notte e del giorno. E sperava che per quell’occasione suo padre e Serguei fossero finalmente riusciti ad andare d’accordo … o almeno sopportarsi pacificamente.
Serguei stava per scendere e raggiungere Lotjuska quando una voce familiare attirò la sua attenzione. Proveniva dalla camera che aveva appena superato, stranamente lasciata un po’ aperta. Sembrava un canticchiare distratto, ma la voce era indubbiamente la sua, quella di sempre. Quella di Helena Romanski! Serguei si sentì combattuto; perché si trovava fermo di fronte alla porta della sua camera? Ormai non le interessava più, l’unica stanza in cui voleva trovarsi era la sua, quella che condivideva con la sua amata Lotjuska. Ma quella voce era un richiamo irresistibile e non riusciva a decidersi. Una voce dentro di lui continuava a ripetergli di non pensarci nemmeno ad entrare, di scendere, andare da Lotjuska e passare la serata con lei, pensando solo alla sua Loty; ma la voce proveniente dalla stanza di Helena era molto più forte e convincente.
Fece un profondo respiro. “
Voglio solo parlarle. Dirle quanto è stato doloroso vederla abbandonarmi in quel modo”.
Entrò.
La camera era spaziosa, elegante ed ordinata. Non sembrava particolarmente vissuta; anche se Helena viveva lì ormai da tempo, era evidente che quella stanza non era mai diventata la sua. Non l’aveva mai sfruttata appieno. Quei pregiati mobili in legno, uno sotto la finestra e uno accanto all’armadio, non erano mai stati usati e forse nemmeno guardati. Un vestito adagiato sullo schienale della sedia, una vecchia fotografia e un libro sul mobile accanto al letto erano gli unici indizi che lì c’era qualcuno. Ora che si trovava dentro sentiva la sua voce più forte, proveniva dal bagno.
Serguei si avvicinò alla porta e attese che fosse lei ad uscire.
Passarono all’incirca una ventina di secondi, poi la porta del bagno si aprì ed uscì Helena, vestita solo da un accappatoio bianco. Serguei non badò all’abbigliamento e le balzò davanti bloccandole la strada.
“oh mio … Cosa ci fa lei qui??” esclamò Helena, inorridita e a momenti vittima di un infarto.
“pazzesco, vero? Sarei dovuto essere morto un bel po’ di tempo fa!”
“come … come …?” Helena non riusciva a trovare le parole; rivedere Serguei fu come rivivere l’incubo che le aveva fatto passare in quei momenti a Komkolzgrad.
“avanti, lo ammetta. Sperava che io fossi morto schiacciato dalla macerie. È vero? È stato bello pensarlo?”
“signor Borodine, non mi faccia dire queste cose!”
“perché? Perché mi ha lasciato così?”
A quella sciocca domanda Helena si infuriò.
“ha il coraggio di chiedermelo? Mi ha ingabbiata! Come un uccellino! Le sembrano questi i modi di trattare una signora? Signor Borodine, non ho mai sperato che lei morisse sotto una fabbrica in fiamme, ma era ciò che meritava!” si ricompose “… e ora che le ho risposto la prego di andarsene e di non farsi mai più rivedere!” gli diede uno spintone cercando di allontanarlo, ma Serguei la afferrò per un braccio.
“lei avrebbe amato quel posto! E avrebbe amato me”
“è pazzo! Amare quel posto? Amare lei? Non ha la minima idea di quello che sta dicendo”
“da quella prima volta in cui ha cantato a Komkolzgrad ho capito che il suo destino sarebbe stato quello di tornarci, e di restare lì con me! L’avrei trattata come un regina, non le sarebbe mai mancato nulla! Saremmo rimasti insieme per tutta la vita, lei e il suo più devoto ammiratore. Per sempre!”
In quell’istante il cigolio della porta attirò l’attenzione di entrambi. Serguei si sentì mancare la terra sotto ai piedi nel vedere che Lotjuska si trovava di fronte a loro, mentre lui teneva stretta Helena – da ricordare che indossava solo un accappatoio – ed aveva sentito tutto. O almeno, le sue ultime parole le aveva senz’altro sentite.
“… Loty?!”
“io … ehm … io … stavo andando in camera … a prendere il … il telefono .. e ..” poi scappò via in lacrime.
“oh no, Lotjuska! Loty, aspetta!”
Serguei lasciò lì Helena, dimenticandola del tutto e corse dietro a Lotjuska.
“Loty! Non è come pensi! Stavo solo …”
“lasciami stare!” urlò Lotjuska fissandolo con rabbia “avevi detto che era soltanto un ricordo!”
“
è soltanto un ricordo!”
“non mi sembrava”
“Loty, amore …”
“non chiamarmi
amore, poco ci mancava che chiamassi così pure Helena!”
“ti giuro che non l’avrei mai fatto!!”
“… adesso voglio stare sola”
“ma …”
“vattene!”
Sconfitto e rassegnato, Serguei si allontanò e scese al piano terra, dove si sedette al bancone del bar ad osservare la pioggia fuori dalla finestra, alla disperata ricerca di una soluzione.
Lotjuska non aveva trovato nemmeno il coraggio di tornare nella sua camera, dove solo alcune ore prima stava passando i più bei momenti della sua vita insieme a Serguei. Si sedette in un angolo del corridoio, ripetendosi quanto era stata stupida a fidarsi, a mollare tutto per una persona simile, che prima diceva di amarla e poi non appena gli si presentava l’occasione la metteva da parte per tornare da quella Helena. Avrebbe dovuto saperlo, ma il suo amore per lui era davvero sincero e non era stata capace di vedere come stavano veramente le cose.
Voleva solo tornare a casa. E dimenticarlo. Dimenticarlo completamente.
NOTE: riguardo alla data del flashback su di me ............. non so che data mettere!! Ho messo il 2006 ma non ha senso perché tecnicamente siamo nel 2002 ... ma sto facendo una confusione tremenda
