by Loty Borodine » Mon 24 Sep 2018 22:58
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Era ormai sera inoltrata quando una vecchia automobile d’epoca, modificata e migliorata con dei meccanismi a molla e a vapore, si ritrovò in mezzo ad una landa desolata, ferma.
All’interno, Lotjuska si guardava nervosamente attorno in cerca di punti di riferimento, ma vedeva solo rocce, vecchi ruderi abbandonati ed in lontananza una sottile linea che doveva essere il riflesso grigio del metallo delle rotaie.
Con una mano stringeva il duro volante color legno, mentre con l’altra teneva appoggiato all’orecchio il telefono, che ormai era diventato rovente dopo tutto quel tempo passato a parlare.
“Loty, come faccio a dirti dove devi andare se non so nemmeno dove sei? Dimmi cosa vedi in giro!” disse per l’ennesima volta una voce innervosita.
“niente! Non c’è niente! Non c’era niente cento chilometri fa e non c’è niente nemmeno ora” rispose Lotjuska, altrettanto nervosa.
“ma dove sei finita?”
“vorrei tanto saperlo, zio” con sguardo rassegnato Lotjuska si apprestò ad uscire dalla macchina.
“mi fermo un attimo e mi sgranchisco le gambe, sono ore che guido senza pause”
“fa attenzione. Chissà cosa si può nascondere in quel postaccio disabitato”
Lotjuska alzò gli occhi al cielo, esasperata dalla sua eccessiva preoccupazione, ma allo stesso tempo consapevole che poteva aver ragione “va bene, starò attenta … ciao Fred. Ti richiamo io se ho qualche novità”
Mise in tasca il telefono e si guardò intorno, sorpresa da quanto fosse forte l’odore di bruciato. Sembrava stesse andando a fuoco l’intero posto, anche se non vedeva fiamme da nessuna parte. Era caldo e solo una volta uscita dall’auto notò che il fumo che prima aveva notato era decisamente più denso; un’insolita nebbiolina grigiastra riempiva tutto l’ambiente e delle piccole briciole di cenere svolazzavano leggermente trasportate dal vento. Cercando di capire da dove venisse il fuoco si girò e vide oltre delle alte rocce scure, in direzione dei monti Urali, un’immensa nuvola di fumo nero salire verso il cielo. Non vedeva fiamme, ma le sfumature rossicce che divampavano oltre le rocce rendevano chiaro che l’incendio fosse ancora in corso.
Risalì in fretta sull’auto e partì verso il fumo, cercando una via per raggiungerlo. Il terreno era accidentato e Lotjuska faticò parecchio per mantenere il controllo dell’auto finchè non si ritrovò a guidare accanto delle rotaie, le stesse che prima aveva visto, che conducevano dritte verso l’origine dell’incendio.
Mille pensieri comparivano nella sua mente. Cos’era successo? C’erano superstiti? Qualcuno aveva bisogno di aiuto? E una volta arrivata cosa avrebbe fatto?
Più si avvicinava più si rendeva conto della gravità della situazione. Anche se non si riusciva a capire molto dalle macerie che giacevano a terra in fiamme, Lotjuska intuì che qualcosa, una costruzione molto alta e pesante, era crollata contro l’imponente edificio accanto. Forse era caduta a seguito di un esplosione, oppure fu proprio il crollo a causare l’incendio colpendo delle sostanze infiammabili.
A quel punto, quello che era successo veramente era irrilevante. Trovò un posto sufficientemente riparato per parcheggiare la macchina e proseguì a piedi, arrampicandosi tra le macerie e cercando di farsi spazio in mezzo a quell’inferno.
Riconobbe alcuni elementi tipici delle fabbriche, le impalcature, quel poco di struttura che ancora era in piedi e un passaggio molto danneggiato che conduceva sotto terra le fece intuire che si trattava di un complesso minerario. Avvertì una fitta al cuore immaginando cosa potesse essere successo lì e pensando a quanti avessero potuto rimetterci la vita in un disastro simile. Il solo sollievo le veniva dato dal fatto che quel complesso sembrava chiuso e abbandonato da parecchio tempo. Ma allora cosa aveva potuto causare tutto ciò?
Mentre camminava, poco più avanti dei resti di quella che doveva essere una porta, sentì un rumore dietro di se, non molto lontano da un gigantesco cumulo di macerie di ferro avvolto da alte fiamme. Probabilmente era il posto peggiore dove qualcuno potesse trovarsi intrappolato, ma si fece coraggio e si avvicinò.
“Ehi! C’è qualcuno?” gridò con tutta la voce che aveva.
“Ehi!!!” chiamò ancora.
Tentò una terza volta, ma l’intenso fumo le mozzò il respiro, impedendole di gridare. Si coprì il viso con il braccio e si abbassò, cercando di spostare i detriti.
Il rumore metallico si ripeté, più forte, alla sua sinistra e lei non aspettò un istante a levare i detriti, scoprendovi sotto una persona intrappolata. La mano con cui era riuscito a muovere la lastra di metallo, richiamando la sua attenzione, era ricoperta di sangue, così come il braccio ed altre parti del corpo. L’uomo, sebbene in quello stato non fosse tanto semplice da vedere bene, sembrava avere una certa età, aveva la pelle molto chiara e da quanto poteva vedere non era molto alto ed era un po’ in carne. Il viso era coperto da una maschera marrone scuro con degli occhiali sul dorato e le lenti molto scure; gli lasciava libera solo la bocca, che in quel momento gli permetteva solo di ansimare a fatica.
“oh mio … … signore, mi sente?” sforzandosi di non farsi prendere dal panico, Lotjuska cercò di accertarsi delle sue condizioni, come l’ultimo corso di Sicurezza sul Lavoro le aveva insegnato.
“nnhf …” l’uomo non riusciva a rispondere, ma il suo tentativo almeno indicava che era vivo.
“stia calmo, adesso la tiro fuori”
Era più facile dirsi che a farsi, una pesante trave in ferro gli bloccava la gamba destra, ed altri detriti, sebbene più leggeri gli impedivano di muoversi.
Con fatica Lotjuska levò tutti i pezzi di ferro che lo intrappolavano, fino ad arrivare alla trave più pesante. L’afferrò dal basso con entrambe le mani e cercò di sollevarla. All’inizio si mosse appena di qualche millimetro, ma sembrava impossibile da spostare ulteriormente.
Lotjuska mollò la presa ed ansimò sfregandosi le mani doloranti. Il suo sguardo si spostò sull’uomo intrappolato. Respirava a fatica, cercava di muoversi ma era troppo debole per riuscire a liberarsi da solo. Con uno sforzo doloroso alzò la testa e i loro occhi si incontrarono; subito Lotjuska poté vedere solo delle lenti nere che la fissavano, ma dopo alcuni istanti riuscì ad intravedere un bagliore di vita nei suoi occhi nascosti che la imploravano.
Non poteva arrendersi, non dopo aver visto quel luccichio disperato guizzare dietro quegli occhiali sporchi.
Con rinnovata grinta Lotjuska afferrò la trave ed iniziò a tirare. All’inizio non c’era modo di muoverla, ma lei continuò con ancora più forza. Avvertì un forte dolore alle mani ma non si fermò, e la trave si sollevò di alcuni centimetri. Continuò a spingerla verso l’alto, ignorando il dolore alle mani e alle braccia; il pesante detrito si sollevò ancora, abbastanza da permettere all’uomo di spostare la gamba, liberandosi. Con un ultimo sforzo Lotjuska spinse la trave, facendola cadere dove non poteva fare altri danni.
Cadde in ginocchio, esausta dalla fatica e notò le ferite sanguinanti sui palmi delle mani. Erano dolorose, ma non erano poi così gravi, le sarebbe bastato lavarle e metterci un po’ di garza. Spostò la sua attenzione sul superstite appena salvato. Non dava alcun segno di essere sveglio, soltanto un lieve movimento del torace, sospinto da dei respiri sempre più deboli.
Non c'era tempo da perdere, prese immediatamente il telefono e compose il numero del pronto soccorso.
"pronto? Sto chiamando da una fabbrica, ai piedi dei monti Urali. Non so di preciso dove si trovi, ma c'è stato un incidente. C'è un ferito grave". Subito dopo Lotjuska sentì il suono di una tastiera provenire dal telefono.
“dal satellite vedo che c’è il Complesso di Komkolzgrad è in fiamme”
“credo proprio di essere lì. Qui c’è un signore anziano che è rimasto sotto le macerie, sono riuscita a tirarlo fuori, ma non sta bene” gli tastò il polso insanguinato “ha il polso debole”
“continui a tenerlo sotto controllo. Arriveremo il prima possibile”
Per alcuni istanti Lotjuska si sentì completamente smarrita all’idea di rimanere da sola con un ferito grave, si sentiva male al solo pensiero che potesse morirle di fronte; tirò fuori tutta la forza che aveva e si inginocchiò accanto a lui, continuando a controllare il polso e il respiro. Non contò quanto tempo trascorse da quando aveva telefonato a quando sentì i soccorsi arrivare, per lei era passata un’infinità ma tirò un sospiro di sollievo quando due infermieri portarono una barella e vi caricarono sopra il ferito.
“lo portate all’ospedale, vero?” domandò Lotjuska, speranzosa che adesso che si trovava in mani più esperte, quel signore avesse avuto più possibilità di sopravvivere.
“non subito. Prima lo visitiamo qui, sull’autoambulanza, per informare l’ospedale di quello che avremo bisogno una volta arrivati. Lei può andare”
“cosa? No, voglio sapere come sta!” ribatté Lotjuska, per nulla intenzionata ad andarsene.
“come vuole, ma per il momento deve restare fuori ad aspettare. Il tempo di visitarlo e poi le faremo sapere”
I due infermieri si chiusero velocemente nell’autoambulanza con il ferito, lasciando Lotjuska da sola, a metà strada tra il veicolo e la fabbrica in fiamme. Nel frattempo era crollata una buona parte della struttura, lasciando scoperta una strana stanzetta, piccola e senza fondamenta o pareti che la unissero al resto dell’edificio. Doveva essere un abitacolo mobile della fabbrica, forse un magazzino o qualcosa di simile; incuriosita si avvicinò, scoprendo di potervi entrare senza troppa fatica e senza rischiare di avventurarsi tra le fiamme. All’interno vi trovò un arredamento davvero insolito per una fabbrica; c’erano manichi, vestiti, grandi quadri che ritraevano una donna anziana – Lotjuska non si fermò ad osservala per riconoscerla – e in fondo un cassetto semi aperto. Vi frugò e trovò parecchie lettere, un quaderno pieno di ritagli di giornale e fotografie, e lì accanto per terra, quasi non lo vide, un diario sgualcito dalla copertina rosso scuro.
Forse non erano cose importanti, ma pensando che potessero essere effetti personali a cui quel signore teneva, decise di prenderli per salvarli dalle fiamme. Uscendo li mise nella sua borsa, facendo particolare attenzione a non sgualcire nulla, soprattutto le lettere. Pensò che se quell’uomo fosse sopravvissuto all’incidente, magari sarebbe stato contento di ricevere quelle poche scartoffie ancora intatte.
Chissà cos’erano.
Colta da un’irrinunciabile curiosità, Lotjuska tirò fuori il diario rosso scuro e lo osservò meglio. La copertina era morbida, sembrava un velluto pregiato, ed impresso sul davanti c’erano la falce e il martello in oro all’interno di una stella, anch’essa dai bordi dorati. Non aveva mai visto un diario così; di agende con simboli vari dell’Unione Sovietica sì, tante, ma quel diario era fatto davvero troppo bene per essere stato comprato in un negozio o per averlo ricevuto a scuola o al lavoro. Doveva essere un regalo, uno di quei regali che vengono fatti fare su misura per il destinatario. Infatti appena sopra l’impressione d’orata c’erano due iniziali nere. С. Б.. Ecco le iniziali del nome del malcapitato; sempre che fosse veramente lui il proprietario del diario.
Lo sfogliò velocemente, giusto per vedere se era stato usato completamente o semplicemente iniziato e poi accantonato in quel cassetto. Aveva un aspetto decisamente usurato, soprattutto negli angoli rimasti spogli del velluto. Lotjuska rimase sorpresa nel vedere che in ogni pagina c’era scritto qualcosa; alcune facciate erano piene di scritte, in altre c’erano solo alcune frasi. L’ultima pagina era stata completata, ma c’era dell’altro. Di fianco ad essa, dove non restava altro che l’interno della rigida copertina, sulla quale erano state scritte alcune righe. Frasi veloci, frettolose … anche senza leggere si poteva capire che erano state scritte in un momento disperato. Lotjuska chiuse il diario e tornò a guardare l’affascinante copertina; non sapeva che fare. Era curiosa di sapere cosa c’era scritto lì dentro, ma non voleva violare la privacy del proprietario del diario. Anche leggendolo, comunque, lei non avrebbe mai spifferato nulla a nessuno di quello che vi avrebbe trovato. Ma se quell’uomo era veramente il proprietario del diario, e se si fosse svegliato … forse non sarebbe stato molto felice di sapere che una sconosciuta aveva letto una cosa tanto personale. O magari non gli sarebbe importato nulla.
Magari do’ un’occhiata alle prime pagine, per vedere se riesco ad identificarne il proprietario, pensò innocentemente Lotjuska, aprendo la prima pagina.
La prima cosa che vide fu una scritta in alto a sinistra.
“A mio figlio, che oggi incomincia il suo viaggio alla ricerca del suo posto. Borislav Vladimirovich Borodine”
Bene, Borislav era il padre del proprietario del diario, e probabilmente del ferito che ora stava sull’autoambulanza. Continuò a leggere. Con un'altra calligrafia, più in basso c’era scritto “Borislavich Serguei Borodine”. Ecco scoperto cosa significavano le iniziali sulla copertina.
Serguei Borodine. Ora mancava soltanto sapere se anche il ferito che ha trovato si chiamava così.
A quel punto il buon senso le suggeriva di chiudere il diario, rimetterlo in borsa e aspettare che gli infermieri uscissero, ma non fu in grado di resistere. Girò la pagina e cedette alla curiosità.
14 Settembre 1959
Non credevo che sarei stato così emozionato di andare a fare il minatore a Komkolzgrad. Incuriosito, sicuramente, ma sono qui e non riesco a restare seduto al mio posto. Se mi alzo mi tremano le gambe e mi sento ancora più agitato.
Sto scrivendo per distrarmi, per cercare di non pensare a quello che succederà una volta arrivato a destinazione.
È stato mio padre a regalarmi questo diario; mi disse che ci avrei potuto scrivere i miei pensieri, tutto quello che mi passava per la testa, raccontare com’è la mia vita a Komkolzgrad. Ha detto che una volta riempito sarebbe stato bello rileggerlo e ricordare. E poi, ha aggiunto, se eventualmente altri l’avessero letto, questo diario sarebbe diventato la testimonianza del mio passaggio a Komkolzgrad.
Quella sera diedi proprio per scontato quello che mi disse. Ho sempre avuto l’abitudine di dare tutto per scontato, non ne sono mai andato fiero di questo … ho lasciato perdere così tante cose, senza godermi nulla. Qui voglio che le cose siano diverse. Voglio vivere ogni istante della mia vita qui, godere dei successi, piangere i fallimenti e rialzarmi più forte.
Vorrei tanto lasciare un segno, fare qualcosa che renda gli altri orgogliosi di me, e anche me stesso. Voglio dare il massimo a questa fabbrica, e alla Russia intera.
A partire da questo quaderno … sarà il mio confidente, e alla fine sarà la testimonianza di quello che sono diventato e di quello che ho fatto.
Realtà
Lotjuska interruppe la sua lettura ed alzò gli occhi; guardò le fiamme che lentamente consumavano i resti dell’imponente fabbrica.
“non c’è stato un bell’epilogo” pensò amaramente “speriamo almeno che sia riuscito a raggiungere quello che voleva”.
Chiuse il quaderno, non era il momento più adatto per mettersi a leggere; lo mise in borsa e tornò in macchina, dove ne approfittò per telefonare allo zio Fridrih per raccontargli l'accaduto.
“mi sembri scossa”
“lo sono. Tutto questo, mi sembra così ingiusto”
“sono incidenti che capitano. Lo so che fa male, ma … probabilmente non l’ha potuto evitare ... credi che avesse famiglia?”
“la polizia ha già controllato. Ha un fratello, ma vive distante da parecchi anni e non sono ancora riusciti a contattarlo; e non si è mai sposato. Quindi è rimasto qui, da solo, per un sacco di tempo” immaginarselo venire abbandonato a vivere lì, tutto solo, per il resto della sua vita, la turbò quasi sul punto di farle venire le lacrime agli occhi, ma le cacciò indietro per non farsi vedere piangere.
“Loty, te la senti di guidare?” le domandò Fridrih, preoccupato.
“si, ce la faccio” fece un sospiro e ritrovò la calma “ seguo l’ambulanza fino all’ospedale”
“come?! E perché?”
“non riesco a tornarmene a casa senza sapere che fine farà Serguei”
“Loty, è messo molto male, le possibilità che sopravviva sono pochissime. Ti sentiresti peggio”
“Fred, io devo andare. È più forte di me”
14/09/1959
Ho appena finito di portare le mie cose nella camera dove alloggerò. Hanno diviso il gruppo dei nuovi minatori in tre, poi ci hanno accompagnato dietro la fabbrica, dove c’erano numerosi edifici. Io sono stato assegnato all’edificio numero tre. È un po’ vuoto, la camera non ha finestra, quindi l’aria sa un po’ di chiuso; ma è casa mia, e mi sembra tutto bellissimo. La camera, l’edificio, la fabbrica … ora mi sembrano i posti più belli del mondo.
Quando il treno è giunto a destinazione, è stato come svegliarmi da un sogno e vederlo materializzarsi di fronte ai miei occhi. Ho sempre considerato Komkolzgrad come una meta utopistica, troppo bella perché potesse essere la mia.
La fabbrica, vista dal piccolo finestrino del treno, era immensa, sembrava non finire mai. Mi sentivo così minuscolo.
Il direttore è venuto ad accoglierci subito dopo che siamo scesi; sembrava un tipo severo, determinato, ma anche affabile. Mi ha dato una buona impressione. E poi ho conosciuto un sacco di gente nuova, la maggior parte sono minatori come me, giovani ed energici che non vedono l’ora di prendersi un posto in questa società.
Sono ottimista; siamo tutti destinati a far parte di questo posto e arriverà il momento per tutti noi di essere riconosciuti e ricompensati. Me lo sento, Komkolzgrad per me sarà un successo!
Divido la stanza con un certo Boris Charov, anche se solo temporaneamente. Lui non è un minatore, è qui solo di passaggio. È un soldato, mi sembra di aver capito che aspira ad occuparsi dell’aeronautica. Non so per quanto tempo resterà qui; per il momento staremo in camera assieme, quindi vedrò di andarci d’accordo. Sembra simpatico, ma pensa un po’ troppo alla Vodka. Beh, almeno così passeremo delle serate allegre.
Domani comincerò a lavorare nella miniera; sono agitato, so che è un lavoro pericoloso … ma abbiamo tutto il necessario per proteggerci, non dovrebbe succedere nulla. Spero.
- Everything I have designed, all that I have invented! Everything! Is for her -